Tutto il lavoro olistico parte da un presupposto fondamentale: la persona deve avvertire la necessità di un cambiamento ed aver voglia di attuare quel cambiamento. L’operatore olistico può mettere in campo tutte le sue capacità e competenze, ma da solo non va da nessuna parte. Tendenzialmente un percorso olistico si fa in due e si deve aver voglia di raggiungere una meta percorrendo la stessa direzione.
Altrimenti si fallisce e questa è la storia del mio fallimento peggiore. Peggiore perché trovo questa mia cliente molto simpatica, negli anni siamo forse anche diventate amiche e oramai sono arrivata ad uno stato di rassegnazione che è peggio di una sconfitta.
Chiamiamola Elisa per convenzione.
Elisa arriva da me per caso ad inizio della mia attività professionale, una quindicina di anni fa. Mandata da amici in comune, vuole un massaggio rilassante perché stressata da un lavoro che non le piace ma che le tocca fare. Entriamo subito in sintonia: allegra, intelligente, curiosa nei primi anni sperimenta diverse tecniche, fino ad un certo punto quando capita un qualcosa nella sua vita che ancora non saprei dire.
La perdo di vista per un pochino, so che lavora in giro per il mondo e che ha avuto problemi familiari.
La ritrovo qualche anno dopo, al rientro da una vacanza in cui ha provato un non meglio definito trattamento energetico incentrato su punti precisi del volto e della testa, mi dice che vuole solo più fare un massaggio rilassante. Tutto il resto le dà un surplus di energia che la rende insonne e soprattutto teme le causi dolori alla zona cervicale.
L’accontento e le sedute passano come i mesi. Massaggio dopo massaggio arrivano racconti di dolori interscapolari per lo zaino portato in montagna, di mal di testa causati dalla cervicalgia, di notti passate insonni per non sapere come dormire per colpa della cervicale, di sere passate con il mal di stomaco dopo aver fatto una lezione di yoga che ha sovraffaticato la cervicale.
E per il male alla cervicale o, meglio, per la paura di aver male alla zona, rinuncia alla palestra, allo yoga, alle camminate in montagna, anche alle vacanze.
Penso di averle proposto quasi tutto lo scibile olistico, proponendole anche di andare da colleghi che usano tecniche diverse dalle mie. Risposta: sempre e solo no. E questo dolore alla cervicale atipico, discontinuo, non riconducibile a causa di postura.
Chiede consulenze a medici su medici, che non le trovano nulla di particolare e che non capiscono cosa possa causare questi dolori così invalidanti che compaiono solo di sera e di notte per poi sparire nel nulla al mattino. Bene o male si arriva tutti alla stessa conclusione: “Provi Elisa a parlarne con uno psicologo”
Dopo tre/quattro anni passati cosi, alla fine Elisa si decide, inizia un percorso di psicoterapia e la perdo fino di nuovo a due anni fa.
Elisa parla di lei come di una persona nuova, io ritrovo un Elisa più aggressiva con lo stesso non amore per il lavoro e una vita sentimentale confusa, non alla luce del sole. Dietro il sorriso vedo la voglia di nascondere qualcosa, di non dire. I nostri trattamenti – sempre unicamente rilassanti, per carità, in quello di sicuro non è cambiata – prima erano tutto un resoconto dei suoi week end fuori porta ora sono caratterizzati da un silenzio meditativo e meditabondo. Che ci sta, sia chiaro.
Un giorno mi parla di nuovo dei suoi malesseri alla zona cervicale e mi viene spontaneo proporle una disciplina che nel frattempo avevo studiato. “Vuoi provare a fare un’analisi iridologica? Non è nulla di invasivo, una foto delle iridi ingrandita e vediamo cosa dicono i tuoi occhi su questi acciacchi”
Subito pare illuminarsi ma poi via via allontana la cosa. Passiamo da “Alla prima occasione facciamo, ma adesso non ho tempo” ad un “È interessante, si, dovrei proprio provare, un giorno o l’altro ti scrivo e combiniamo”.
Ed intanto continuiamo con i nostri massaggi rilassanti, senza capo né coda. Senza una soluzione effettiva del problema.
Perché forse il punto è proprio qua: vuole davvero risolvere il problema?
La settimana scorsa alla fine del solito trattamento, mentre mi ripeteva la solita tiritera fatta sempre delle solite parole, gliel’ho chiesto: “Vuoi davvero risolvere i tuoi dolori o ci sei affezionata?”
La risposta? “Ma si dai un giorno poi proviamo a vedere cosa dicono i miei occhi”
Non so se la rivedrò, penso di essere arrivata io ad un punto morto con questi trattamenti rilassanti. Però una cosa ora mi è più che evidente: l’operatore deve stare al passo del ricevente, se si perde rischia di percorrere strade che vanno in direzione diversa.
Vi abbraccio!
Elena