Il Feng Shui è l’arte antica che insegna a disporre gli spazi abitativi in modo che siano in armonia con il nostro essere e siano ottimizzati per l’uso che ne facciamo. Con uno studio approfondito di punti cardinali, ambiente circostante, illuminazione e su chi lo abita, ci fornisce indicazioni su colori da usare, arredi specifici e piccoli accorgimenti che nell’insieme possono fare la differenza.
Il suo ruolo, però, non è solo quello di farci spostare mobili, ma anche e forse soprattutto di farci meditare su noi stessi e la nostra vita. Uno dei concetti su cui insiste molto è quello di capire cosa lasciar andare, cosa buttare, cosa non ci serve più.
La nostra casa vive di una sua propria energia che dipende in parte anche dalla nostra: riflette quello che siamo e nel contempo influisce su quello che proviamo. La possibilità di sentirci a casa tra le nostre quattro mura dipende da quanto quelle mura sono in sintonia con il nostro Io ed il nostro umore. Per farvi qualche esempio: se abbiamo mal di testa difficilmente ci sentiamo bene in uno spazio iperluminoso magari con le pareti gialle. Se siamo di umore cupo, tristi ed abbattuti, i colori tenui come il rosa e l’azzurro ci abbracceranno e ci coccoleranno. Se amiamo il mare, avere un quadro “marino” ci consolerà nelle afose giornate bloccati in città senza aria condizionata.
Il Feng Shui insiste molto sul concetto che il troppo e l’inutile non solo non servono, ma creano un intasamento negativo. Ci serve spazio, per fare entrare qualcosa di nuovo nella nostra casa e nella nostra vita. Importante, quindi, è buttare quello che non serve più e che sta lì, inutile, a prendere polvere, ad ostacolare la fluidità energetica di cui tutti abbiamo bisogno.
Il discorso è molto simile alla ricerca dell’equilibrio che caratterizza le teorie energetiche: il troppo, come il troppo poco non va bene. Se, quindi, una stanza spoglia ci può dare ansia o apparirci asettica, uno spazio troppo pieno di oggetti, mobili, suppellettili, cuscini, riviste e quant’altro ci soffoca e ci toglie aria vitale.
L’invito è quello di buttare quel che non serve più o quello che non è mai servito e che, magari, è entrato in casa nostra come regalo di qualcuno. Stipare tutto dentro a cassetti e mobili peggiora solo le cose: noi non vediamo, ma il troppo è lì ad occupare spazio inutilmente, ed inconsciamente sappiamo che è in casa nostra per cui non vale il detto “occhio non vede, cuore non duole”.
Questo discorso non è un invito a buttar via, al non riciclare. Al contrario, vuole essere un monito a non comprare più di quanto effettivamente sia necessario e che sentiamo nostro; è un modo per farci capire cosa veramente vogliamo e cosa ci impongono gli altri e le mode del momento.
Quanti di noi hanno in casa un oggetto che ci è stato rifilato e che non abbiamo mai amato? L’orologio da parete regalato dalla sorella per la casa nuova, il vecchio mobile ereditato dalla zia, il tavolino rimasto da un trasloco dopo una storia di convivenza finita male. Il punto della questione qui è: cosa ci fanno ancora quegli oggetti in casa mia? Perché sono lì se non appartengono ai miei gusti, alle mie scelte, al mio modo di essere? L’invito ora che sono in casa è quello di liberarsene, ma l’insegnamento è quello di non fare entrare più nulla in futuro che faccia la medesima fine.
In un concetto olistico, ogni cosa può essere vista nel piccolo come nel grande. Ecco, quindi, che l’atteggiamento da mettere tra le nostre mura diventa quello da usare in ogni aspetto della nostra vita. Allontanare situazioni e persone che non sono più in sintonia con noi, non è un atto egoistico, ma una decisione necessaria per il bene nostro e dell’altro.
Il saper “chiudere”, il saper mettere la parola fine è l’unico modo per lasciare spazio ad altro che è più compatibile con noi, che non siamo e non saremo mai un “qualcosa” di statico, ma un fluire energetico sempre diverso da ieri.
Per similitudine, fare le pulizie di casa, riordinare, rivedere delle stanze diventa quasi una riflessione alternativa sul nostro quotidiano. Un modo per capire cosa nelle nostre giornate è veramente espressione di noi stessi e cosa invece non ci appartiene più o non ci è mai davvero appartenuto. Situazioni e persone.
Un sorriso,
Elena