L’esperienza olistica che vi propongo oggi è legata ad un incontro di un paio di anni fa, quando in studio arrivò da me una donna sui 45/50 anni che mi diede un esempio pratico e concreto di quanto di detto da Ippocrate: “Prima di cercare la guarigione di qualcuno, chiedigli se è disposto a rinunciare alle cose che lo hanno fatto ammalare“.
Elisabetta – nome come sempre di fantasia – si presentò già subito come una cliente “difficile”, il solo decidere il giorno e l’ora dell’appuntamento fu impresa non da poco, per incastrarlo tra la passeggiata del cane, l’appuntamento dalla parrucchiera, il the con le amiche e la visita in casa di riposo alla zia.
Quando ci vediamo per la prima volta, mi trovo davanti la persona che mi aspettavo dallo scambio di parole al telefono: non un capello fuori posto, non un dettaglio lasciato al caso, né nell’abbigliamento né nel modo di sedersi o di muoversi.
Tutte le parole che mi dice sembrano pesate, non un sorriso in più e uno sguardo pronto a cogliere ogni dettaglio del mio studio o del mio modo di muovermi e di parlare.
Mi chiede una consulenza perché soffre da tempo di rigidità muscolare, non vere e proprie contratture ma dolorini qua e là che non riesce a sistemare. Sembra aver già tentato un pochino tutte le strade yoga, pilates, osteopata, massaggi… ma senza costanza perché o non si trovava bene, o faticava troppo, o l’orario non andava bene…
Diciamo che ci sono delle consulenze facili, dove alla fine ti ritrovi a dare appoggio alla persona dicendogli quello che già sa, quello che già si aspetta. E poi ci sono le consulenze difficili, dove tu la strada la vedi, il problema ti pare lampante come una luminaria di Natale, ma sai già a priori che chi hai di fronte non accetterà mai le tue parole.
A me pareva evidente che la rigidità fisica di Elisabetta, arrivasse dalla sua rigidità mentale, dal suo voler tener tutto sotto controllo, da una ricerca spasmodica di una perfezione che – per lo meno ai miei occhi – appare come un qualcosa di artefatto, poco vero.
Le chiedo se è disposta a cambiare qualcosa delle sue abitudini quotidiane per cercare di risolvere il suo problema, le dico che ci possono essere più strade da percorrere secondo il mio punto di vista ma sono sicuramente percorsi che richiedono costanza ed impegno.
Elisabetta mi segue poco, come preventivato non riesce ad uscire dai suoi schemi mentali, si aspettava – credo – la soluzione da bacchetta magica. Scelgo la linea dura, che non è proprio da me, ma quando ci vuole ci vuole…
Le dico senza tanti giri di parole che, secondo me, dovrebbe lavorare non tanto sul corpo o sulla mente, uscire da questa sua necessità di essere totalmente organizzata, di non accettare imprevisti. Le dico di provare a cambiare strada per tornare a casa, di uscire una volta di casa con una semplice tuta, di provare a crearsi dei diversivi nella giornata. Tipo cambiare bar dove fare colazione, non andare dal parrucchiere sempre allo stesso giorno e alla stessa ora. Le dico che in un concetto di corpo-mente-spirito la rigidità mentale si può ripercuotere anche sulla muscolatura e che ci sono molti studi di posturologia che concordano su questa visione.
Se vuole star meglio, deve iniziare a cambiare atteggiamento, in poche parole a scompigliarsi i capelli e provare a ridere. Le consiglio di iniziare un corso di danza tribale o di zumba, che secondo me, da profana, più di quanto fatto finora. Meglio ancora se con un insegnante casinista e in un gruppo che faccia allegra confusione.
Mi ha guardato come se fossi pazza… inutile dirvi che non l’ho più rivista. Spero per lo meno di averle messo un tarlo, tipo un grillo parlante che ogni tanto le sussurri all’orecchio: “Cosa sei disposta a cambiare per star meglio?”
Perché se come stiamo non stiamo bene, va da sé che c’è qualcosa da cambiare… in noi in primis!
Un sorriso!
Elena